Previsioni Oltraggiose
Arriva il conto dell'AI per Oracle: cosa rivela davvero il selloff agli investitori
Ruben Dalfovo
Investment Strategist
Punti chiave
Il trimestre di Oracle ha mostrato una forte crescita nel cloud e nell’intelligenza artificiale (AI), ma le indicazioni più deboli per il futuro e l’aumento significativo degli investimenti previsti hanno causato un forte calo del titolo in Borsa.
L’aggiornamento segna l’inizio di una nuova fase dell’AI, in cui i data center richiedono investimenti di capitale molto elevati prima che profitti e flussi di cassa possano realmente beneficiarne.
Per gli investitori, Oracle rappresenta un caso da manuale su come leggere con attenzione gli arretrati, i livelli di spesa in conto capitale e la concentrazione della clientela, invece di lasciarsi trascinare dai titoli entusiastici sull’AI.
Quando la festa dell’AI presenta il conto
Gli ultimi risultati di Oracle ci ricordano che anche le stelle dell’intelligenza artificiale (AI) devono prima o poi fare i conti con la realtà dei numeri. Il 10 dicembre 2025, la società ha pubblicato i risultati del secondo trimestre dell’anno fiscale 2026, dopo la chiusura dei mercati statunitensi, e il titolo ha perso circa l’11,5% nel trading after hours.
La particolarità? La notizia principale non era un crollo, bensì una crescita. I ricavi e le vendite nel cloud sono aumentati in modo significativo, e il portafoglio ordini di Oracle – tra contratti futuri legati all’AI e al cloud – ha ormai raggiunto centinaia di miliardi di dollari. A far scattare la reazione negativa degli investitori sono state invece previsioni più caute del previsto e un piano di spesa decisamente ambizioso per costruire nuovi data center dedicati all’AI.
Per gli investitori con un orizzonte di lungo termine, questo mix di fattori conta molto più di una singola seduta negativa. Oracle è ormai diventata una delle scommesse quotate più chiare sull’infrastruttura legata all’intelligenza artificiale. I suoi numeri offrono oggi uno sguardo in tempo reale sulla prossima fase del boom dell’AI, quella in cui le grandi promesse iniziano a scontrarsi con conti in conto capitale ancora più grandi.
Cosa ha realmente consegnato Oracle
Al netto del rumore di fondo, il trimestre si è rivelato solido. I ricavi complessivi sono cresciuti nella fascia media delle due cifre percentuali, quelli del segmento cloud intorno al 35%, e l’infrastruttura come servizio (IaaS) è stata la protagonista assoluta, con una crescita vicina al 70%. L’utile per azione non-GAAP (secondo i principi contabili generalmente accettati) è balzato di oltre il 50% rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente.
Sotto la superficie, il quadro appare meno eclatante, ma più istruttivo. L’utile è stato sostenuto da una plusvalenza di circa 2,7 miliardi di dollari derivante dalla vendita della partecipazione in Ampere Computing, società specializzata nella progettazione di chip. Nel frattempo, il reddito operativo è cresciuto più lentamente dei ricavi, poiché l’azienda ha continuato a investire pesantemente in data center e infrastrutture hardware. Le obbligazioni di performance residue sono salite a 523 miliardi di dollari, in aumento rispetto ai circa 455 miliardi del trimestre precedente, ma una parte significativa di questo portafoglio proviene da un ristretto gruppo di grandi clienti dell’AI. Oracle ha quindi buona visibilità sul futuro, ma sta anche legando una parte importante dei rendimenti attesi a pochi partner esigenti e in rapida evoluzione.
È proprio su questo punto che le aspettative sono state deluse. Le previsioni della società per il trimestre successivo non hanno impressionato gli analisti, nonostante il management abbia annunciato un aumento dei piani di spesa in conto capitale per l’anno fiscale 2026, portandoli a circa 15 miliardi di dollari in più rispetto alle indicazioni precedenti. In altre parole: più investimenti, più contratti in portafoglio, ma meno certezze sugli utili a breve termine rispetto a quanto sperato dal mercato.
La corsa agli armamenti dell’AI entra nella fase matura
Oracle si trova ora nel cuore pulsante dell’espansione dell’infrastruttura AI. La sua piattaforma cloud mette a disposizione dei clienti cluster di chip Nvidia e AMD, permettendo loro di addestrare e gestire modelli di grandi dimensioni. Questo rende Oracle un protagonista diretto nell’infrastruttura AI, e non più soltanto un fornitore di database.
Il problema riguarda i costi e la concentrazione. Costruire data center moderni per l’AI richiede impegni da decine di miliardi di dollari, molto prima che questi si traducano in flussi di cassa concreti. Oracle ora prevede che le spese in conto capitale per l’anno fiscale 2026 saranno superiori di 15 miliardi di dollari rispetto alle stime precedenti, nonostante le indicazioni future abbiano deluso. Gran parte del portafoglio ordini dipende da pochi clienti con grandi disponibilità finanziarie, come OpenAI e alcuni importanti gruppi attivi nel cloud e nei social media. La vera domanda per gli investitori non è più chi ha il backlog più grande, ma chi saprà ottenere ritorni adeguati su quel capitale e mantenere ricavi solidi e duraturi nel tempo.
Questo cambiamento è significativo anche per l’intero comparto AI. Nella fase iniziale del boom, bastava ottenere chip grafici e saper parlare in modo convincente di modelli per attirare attenzione. Ora invece si entra in una fase più simile a un ciclo di capitale, in cui gli investitori iniziano a valutare quali piattaforme sapranno trasformare grandi ordini in margini sostenibili e flussi di cassa reali, piuttosto che applaudire ogni nuovo titolo sull’AI.
Rischi da tenere a mente
Il primo rischio è quello di una costruzione eccessiva. Se la domanda per l’AI dovesse rallentare più rapidamente del previsto, il settore potrebbe ritrovarsi con una capacità di data center superiore a quella utilizzabile in modo profittevole, almeno per un certo periodo. I segnali anticipatori potrebbero includere una crescita più lenta del backlog, un indebolimento dei prezzi e una maggiore attenzione all’“ottimizzazione” dei siti esistenti piuttosto che all’espansione.
Il secondo rischio riguarda la pressione sul bilancio. Oracle ha già un livello di indebitamento significativo e ora prevede investimenti molto più elevati. Se la crescita o i margini dovessero deludere, il rating di credito potrebbe subire pressioni e i costi di finanziamento potrebbero aumentare proprio nel momento in cui i fabbisogni di investimento sono ai massimi.
Il terzo rischio è legato alla regolamentazione e alla stabilità della clientela. Molti dei principali clienti AI sono soggetti a indagini antitrust e a normative in continua evoluzione su dati e sicurezza. Qualsiasi battuta d’arresto significativa per queste aziende avrebbe ricadute dirette anche sui loro partner infrastrutturali, modificando il ritmo e la forma dell’espansione.
Strategia per gli investitori
Usare Oracle come modello per valutare altre aziende AI. Concentrarsi su quanto rapidamente i grandi portafogli ordini si trasformano in ricavi effettivi e, ancora più importante, in cassa.
Confrontare le aziende per intensità di capitale e solidità del bilancio. Alcune realtà, come i produttori di chip o le piattaforme software, possono crescere con investimenti più contenuti. Altre, come i fornitori di infrastruttura cloud e data center, richiedono spese ingenti e una struttura finanziaria più robusta.
Prestare attenzione alla concentrazione della clientela. Un singolo contratto di punta può sembrare impressionante inizialmente, ma comporta anche il rischio di legare molto valore a una sola relazione commerciale.
In un ciclo AI che si muove rapidamente, flessibilità, diversificazione e dimensionamento delle posizioni possono contare tanto quanto la tecnologia. L’esperienza di Oracle dimostra che, anche quando la domanda è forte, il percorso dai contratti ai rendimenti duraturi può essere lungo e irregolare.
Dall’entusiasmo per l’AI alla disciplina finanziaria
L’ultimo trimestre di Oracle non segna certo la fine dell’importanza dell’intelligenza artificiale. Il portafoglio ordini imponente e la solida crescita del cloud confermano quanto siano diventati centrali i carichi di lavoro legati all’AI. Ciò che riflette davvero il brusco calo del titolo è un cambiamento nella domanda che si pongono gli investitori: non più “chi partecipa alla corsa”, ma “chi saprà restarci dentro in modo profittevole, senza compromettere la propria solidità finanziaria”.
Per gli investitori di lungo periodo, questo cambiamento è positivo. Il rallentamento di Oracle dimostra che anche i presunti vincitori dell’AI devono ancora confrontarsi con le vecchie regole del capitale, del flusso di cassa e del rischio di concentrazione. Considerare questi risultati come un caso di studio, e non come un giudizio definitivo sull’AI come tema d’investimento, aiuta a mantenere il focus su qualità, resilienza e un corretto dimensionamento delle posizioni, man mano che prende forma il prossimo capitolo dell’espansione dell’intelligenza artificiale.
Questo contenuto è materiale di marketing. Nessuna delle informazioni e analisi qui contenute costituisce consulenza in materia di investimenti. Il trading comporta rischi e le performance passate non sono un indicatore affidabile della performance futura. In questo contenuto potrebbero essere citati strumenti emessi da società partner, dalle quali la Capogruppo Saxo riceve pagamenti o retrocessioni.